PIccolo Teatro Numerico

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Piccolo Teatro Numerico

Teatro aperto in marmo che fa riferimento alla tavola pitagorica.

Il Piccolo Teatro Numerico si riferisce ad un concetto notissimo a tutti fin dalla scuola elementare: la tavola pitagorica, una tabella ordinata di elementi numerici che in ogni cella contiene il prodotto del simbolo di riga per quello di colonna.

L’installazione rappresenta una sorta di teatro aperto con fondale e gradinate, composto da una matrice di 10 righe per 10 colonne. Dalla intersezione di queste ultime hanno origine100 gradini. I bordi dei gradini sono, alternativamente, in marmo bianco di Carrara e nero di Marquina. Il gradino diventa sempre più alto, man mano che il numero inciso su di esso è maggiore. In totale, lo sviluppo tridimensionale presenta un valore unitario (sull'asse Z) pari a 2 cm.

Da chiunque cercaste di sapere chi sia stato l’inventore della tavola pitagorica, inevitabilmente vi verrebbe risposto “Pitagora in persona”, dal quale la tavola prende il nome. Ciò, per la verità,  appare coerente col pensiero pitagorico, che attribuiva al numero una dimensione metafisica: la tavola pitagorica permetterebbe di generare tutti gli sposalizi possibili tra due numeri, una volta per sempre e senza possibilità di errore.

In realtà, sembra ci si trovi di fronte ad un errore che permane da secoli. La genesi di quest’ultimo si può ritrovare in Boezio il quale, nel suo “De institutione arithmetica” afferma: “I pitagorici, per non sbagliare nelle moltiplicazioni, divisioni e misurazioni, tracciarono una figura che chiamavano tavola pitagorica in onore di Pitagora, perché conoscevano tale figura grazie ad un precedente insegnamento del loro maestro. Essa fu poi chiamata abaco dai posteri”.

Ma quella a cui fa riferimento Boezio non è la tavola pitagorica che abbiamo studiato alle scuole elementari. Egli, in realtà parla di uno strumento vitale nel mondo antico per velocizzare i calcoli: l’abaco. 

Per comprendere l’importanza di tale strumento, dobbiamo evidenziare la fondamentale differenza tra le cifre indo-arabe (che oggi utilizziamo) e quelle romane.

Il nostro sistema di numerazione è posizionale: a seconda della posizione occupata dentro il numero, la stessa cifra indica ordini di grandezza differenti. Per esempio, nel numero 333 la cifra 3 esprime (da sinistra a destra) il numero delle centinaia (3), delle decine (3) e delle unità (3). 

Il sistema di numerazione romano invece era additivo: una cifra indicava sempre lo stesso valore, a prescindere dalla posizione occupata nel numero, e il numero totale era dato dalla somma delle singole cifre. Per esempio, il numero 333 si scriveva CCCXXXIII: era necessario sommare tre volte C per ottenere il numero delle centinaia, poi sommare tre volte X per ottenere il numero delle decine e infine sommare tre volte I per ottenere il numero delle unità. Questo sistema è tanto più inefficiente quanto più il numero è grande: se ci limitiamo al numero 333, occorrono ben 9 cifre romane contro 3 sole cifre indo-arabe.

Per questo motivo i numeri romani erano sostanzialmente inutilizzabili per i calcoli. Il calcolo vero e proprio veniva svolto da uno strumento ausiliario, l'abaco, chiamato tavola pitagorica ancora ai tempi di Boezio (475 - 525 d.C.). Grazie all’abaco, il sistema additivo permetteva di compiere facilmente operazioni aritmetiche senza bisogno di imparare a memoria tavole numeriche, come invece è necessario col sistema posizionale (che però libera dalla necessità di utilizzare l’abaco). Per secoli ci fu disaccordo tra chi sosteneva la necessità di passare al nuovo sistema posizionale (che poi alla fine prevalse) e chi intendeva rimanere fedele al vecchio sistema additivo di derivazione romana (con l’ausilio dell’abaco).

Nel mondo antico dunque,  il termine “tavola pitagorica” indicava un strumento di ausilio per il calcolo. 

In seguito, quando le cifre indo-arabe ebbero soppiantato quelle romane perché ben più facilmente utilizzabili per i calcoli (come dimostrò Fibonacci vincendo il torneo organizzato dall’imperatore Federico II, di cui potete leggere nella descrizione del Viale di Fibonacci), ed ebbero reso l’abaco obsoleto, tale termine passò ad indicare le tabelline che contengono i prodotti dei primi dieci numeri naturali, anch’esse uno strumento di ausilio per il calcolo. 

Non v’è prova alcuna che sia stato Pitagora ad ideare la tabella per le moltiplicazioni che oggi si insegna alle scuole elementari: esistono tavolette d’argilla che dimostrano come i babilonesi utilizzassero l’equivalente della tavola pitagorica già 2 millenni prima di Cristo (ovviamente, adattata al loro sistema di numerazione, il sessagesimale).